Il Covid in Nigeria,  tra repressione della polizia e conseguenze economico-sociali


Il 20 aprile 2020 Enrica Rigo, della Clinica Legale dell'Università Roma Tre, ha intervistato in collegamento video la collega di Abuja Odinakaonye Lagi, responsabile del Network of University and Aid Institutions in Nigeria (NULAI).

Odi, come si è diffuso il virus in Nigeria?

La diffusione del virus è partita dalle persone appartenenti ai ceti più elevati, le uniche in grado di spostarsi velocemente e di viaggiare all’estero (il primo caso di positività risale al 27 febbraio e riguarda un cittadino italiano proveniente da Milano, ndr). Hanno infettato chi gli stava intorno: amici che le andavano a prendere all’aeroporto, collaboratori, personale domestico. In questo modo il contagio si è esteso anche al resto della popolazione. Inizialmente qualcuno ha pensato che, riguardando i ceti alti, sarebbe stato più facile il suo contenimento, perché ci si aspettava che queste persone fossero più in grado di osservare misure come il distanziamento sociale o l’isolamento, ma non è stato così. Nel mese di marzo alcuni Stati hanno istituito misure restrittive, ad esempio per le scuole, ma ciascuno a modo suo, con tempi e regole differenti, senza una chiara cornice legislativa e senza alcun coordinamento: ricordiamo che la Nigeria è uno Stato federale. Solo il 29 marzo il governo federale ha annunciato il lockdown delle attività economiche e sociali, ma per i soli Stati di Abuja (capitale) Lagos (capitale economica) e Ogun.

Ha fatto il giro del mondo la notizia che le forze dell'ordine in Nigeria abbiano usato metodi violenti per far rispettare il lockdown. Puoi dirci qualcosa di più?

Oltre alle 18 vittime per mano della polizia, di cui ha parlato anche la stampa internazionale, la Commissione Nazionale per i Diritti Umani (NHRC) ha registrato numerosi altri casi di violenze. É stato ad esempio denunciato che alcuni agenti abbiano distrutto negozi e bancarelle, nonostante le persone fossero autorizzate a uscire per andare a fare la spesa. Questi episodi sono gravi anche perché toccano la sopravvivenza economica dei commercianti. È stata denunciata anche la distruzione di automobili da parte delle forze dell'ordine senza alcun motivo. C'è poi il solito problema della corruzione: alcuni lavoratori nel settore dei trasporti hanno lamentato che alla frontiera fra uno Stato e l’altro siano state chieste loro delle tangenti, e c’è addirittura il caso di un uomo che si è rifiutato di pagare e la polizia gli ha sparato alle gambe.

Quali strumenti legali hanno i cittadini per difendersi da una violenza statale così diffusa?

Nel caso una persona sia vittima o testimone di soprusi è importante tentare di acquisire prove di quanto accaduto, meglio se attraverso video. Il tutto va segnalato alla NHRC in quanto attualmente le altre corti sono sostanzialmente chiuse, lavorano solo per i casi più urgenti. Anche raggiungere un avvocato può essere molto difficile, viste le limitazioni imposte agli spostamenti. La NHRC ha ampi poteri di indagine, ma purtroppo è ancora poco usata. Tra l'altro non ci sono limiti di tempo per adire a questa corte, quindi cerchiamo di suggerire alle persone di non mettere a repentaglio la propria sicurezza tentando di ottenere giustizia subito: si può registrare tutto e ottenere giustizia dopo.

Passiamo all'aspetto sanitario. Quali sono le maggiori criticità?

Il lavaggio delle mani è un grosso problema. Spesso non c’è acqua corrente e molte persone si lavano in contenitori senza che l'acqua potenzialmente contaminata venga sostituita (in Nigeria il 70% della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e a servizi igienico-sanitari sicuri, ndr). Poi c'è il problema del distanziamento sociale, che è molto difficile da far rispettare. In tutte le città, anche qui ad Abuja, c’è chi dorme in macchina, o in edifici in costruzione, in condizioni di sovraffollamento. Queste persone passano molto tempo in strada in una dimensione comunitaria, si riuniscono per mangiare a gruppi di dieci, dodici persone, questo è il loro modo di vivere, non capiscono cosa sia il distanziamento sociale, non hanno nemmeno una casa in cui ritirarsi (in Nigeria il 69% della popolazione urbana vive in slum, ndr). Inoltre bisogna tenere conto del fatto che in Nigeria ci sono molti più villaggi rurali che città; in questi luoghi, la vita si svolge nella piazza, nel mercato, sotto gli alberi. A peggiorare il tutto contribuisce la scarsa informazione e la scarsa trasparenza nella gestione dei casi. La gente non è informata, non capisce cosa le accade intorno e in questo modo si diffondono voci spesso infondate. Alcuni non credono che il Covid sia reale, altri credono che l’Africa possa essere utilizzata come terreno di sperimentazione per testare un vaccino, quindi potrebbero esserci delle resistenze a ricevere eventuali aiuti medici.

E sotto il profilo economico?

La situazione non è per nulla semplice. Come in tutto il mondo, in molti stanno perdendo i loro mezzi di sostentamento. Alcuni Stati hanno annunciato una riduzione dei salari del 70%, su uno stipendio di partenza già insufficiente per la sussistenza. Ma il vero problema è che in Nigeria più dell’80% della popolazione lavora nel settore informale: come possono queste persone sopravvivere senza uscire di casa? L’economia informale è uno dei nostri problemi più grandi. La gente incomincia a soffrire la fame e questo ha causato anche un aumento di furti e rapine. Infine c'è la questione dell'arretratezza digitale. La nostra società non è preparata a lavorare in smart working. Ci sono enormi problemi di connettività e di rete elettrica, problemi che ci accomunano ai paesi in guerra.

Ci potresti raccontare della situazione delle donne vittime di violenza durante il lockdown?

La situazione è parecchio critica. Da una parte, le vittime di violenza sono bloccate in casa e non possono muoversi per raggiungere i centri di aiuto, né spostarsi per andare a stare in un luogo più sicuro. Dall’altra, le associazioni di supporto alle vittime di violenza non sono considerate servizi essenziali e dunque non possono spostarsi nemmeno loro, come pure le associazioni che offrono supporto legale. Nulla di specifico è stato fatto o pensato per queste donne. Non c’è un luogo sicuro dove poter denunciare e gli agenti non sono preparati ad accogliere questo genere di denunce: ricevono le persone solo all’aperto, per strada, non hanno neppure a disposizione le mascherine per proteggersi. Tutti hanno paura ad esporsi e denunciare, figuriamoci una donna vittima di violenza. La preoccupazione della polizia è solo quella di far rispettare il lockdown.

Come pensi che sarà la Nigeria una volta finita la pandemia?

Cerchiamo di essere ottimisti. La speranza di molti nigeriani è che, dal momento che questo virus ha colpito in primis le classi dirigenti, questo suoni come un risveglio di consapevolezza e che in futuro ci siano importanti investimenti in ambito sanitario. Anche perché ora le frontiere sono chiuse e non è più possibile cercare assistenza sanitaria all’estero: tutti devono curarsi in patria, nelle strutture di cui dispone il paese. L’altra speranza è che ci possa essere un miglioramento nel settore digitale. Gran parte della popolazione ha iniziato a comprendere l’importanza dell’alfabetizzazione digitale. Molte scuole stanno facendo lezioni online, ma sono soprattutto private, quelle pubbliche sono ancora molto indietro. Per il futuro c’è quindi un rischio: che il divario tra i più benestanti e i meno abbienti, tra chi frequenta scuole pubbliche e scuole private, si acuisca ulteriormente. Speriamo che il nostro sistema scolastico si evolva in una direzione più paritaria. Su questi aspetti i cittadini stanno dimostrando un forte interesse, perlomeno online e nei social media; speriamo che questo impegno civico duri ben oltre la prossima scadenza elettorale e ci porti a negoziare con la classe politica un nuovo contratto sociale post pandemia.

Intervista video: Enrica Rigo

Traduzione: Cristina Cilia, Amarachi Ajuzie

Adattamento: Cristina Cilia


Enrica Rigo è docente di Filosofia del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tre, dove coordina la Clinica del diritto dell’immigrazione e della cittadinanza. È un’attivista nei movimenti per i diritti dei migranti e contro la violenza di genere.

Odinakaonye Lagi è reasponsabile del NULAI, un network di Cliniche legali diffuso nelle facoltà di legge di tutto il paese che si occupano di diritti umani, diritto all’istruzione, diritti dell’infanzia, diritti delle donne, libertà di informazione, educazione alla gestione non violenta dei conflitti.


Il Covid in Nigeria: aggiornamenti

Dal 4 maggio ad Abuja, Lagos e nello stato di Ogun è ripresa l’attività commerciale, nonostante il parere contrario dei medici. Solo scuole, bar, cinema e luoghi di culto rimangono ancora chiusi, ma le immagini mostrano una Lagos affollata. Molti girano senza coprire bocca e naso e la quantità di persone in circolazione è tale che stare lontani l’uno dall’altro è complicato (fonte: mondoemissione.it)

I numeri dei contagi sono ancora bassi ma continuano a crescere, soprattutto da fine aprile: al 13 maggio i casi sono 4.787, i morti 158 e i ricoverati 902 (fonte: worldometers.info).


(fonte: worldometers.info)