La lotta allo sfruttamento e al caporalato deve rimanere una priorità nell’agenda pubblica

Il V Rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto/FLAI-CGIL stima che nell’ecosistema agricolo italiano ci sono ampie sacche di lavoro deturpato, snaturato, che coinvolgono circa 180.000  lavoratori particolarmente vulnerabili: il loro orizzonte lavorativo è insidiato dall’imbrigliamento degli sfruttatori e dei caporali. 

Un fenomeno antico nell’economia del lavoro nel settore primario, tuttavia negli ultimi decenni ha trovato ulteriore terreno fertile nell’immigrazione. Ci sono ampi strati di lavoratori invisibili, privi di documenti e dunque privi dello stato di cittadini riconosciuti. Lo sfruttamento lavorativo di queste ingenti compagini di migranti, talvolta sprovvisti del Permesso di Soggiorno è semplicemente odioso, andando a sommarsi con quello perpetrato ai danni di tanti lavoratori locali e comunitari.

Oltre all’emersione dell’illegalità con l’intensificazione dei controlli e l’inasprimento dell’apparato sanzionatorio, la battaglia contro il caporalato e lo sfruttamento passa anche attraverso il superamento delle leggi che regolamentano l’immigrazione nel nostro Paese ed approcciano il tema in termini esclusivamente securitari: la legge Bossi-Fini, con il suo impianto iniquo, e i Decreti Salvini, focalizzati sull’accostamento immigrazione e criminalità. Un timido passo era stato compiuto con l’art. 103 del Decreto Rilancio del maggio 2020, che prevedeva l’emersione dei rapporti di lavoro irregolari in agricoltura e nell’attività di cura alla persona. La sfida per la politica migratoria rimane tuttavia aperta: le regolarizzazioni, infatti, seppur importanti, non possono che restare un una tantum, mentre una diversa gestione dei flussi migratori e del processo di integrazione sociale è non solo auspicabile, ma anche possibile.  

Il “modello Riace” è testimonianza di questo, lo stesso Consiglio di Stato lo definisce “assolutamente encomiabile negli intenti e anche negli esiti del processo di integrazione” (sentenza n. 3375 del 28 maggio 2020). Riace si propone come il prototipo di una possibile politica di integrazione nel nostro Paese, capace di fare dell’immigrazione un’opportunità, valorizzando le risorse agroforestali, economiche e sociali del territorio per azionare linee di sviluppo economico e conseguente recupero occupazionale finalizzato al lavoro inclusivo ed all’integrazione. Il contrasto al caporalato ed allo sfruttamento dei migranti ha, altresì, bisogno di uno scenario europeo che possa offrire soluzioni adeguate. Assume grande rilevanza la scelta della Commissione Europea e del Consiglio dei Primi Ministri europei di individuare linee guida per la tutela dei lavoratori migranti in epoca Covid-19. Spetta, ora, agli Stati membri il compito di tradurre in leggi nazionali tali direttrici. La PAC stessa può diventare uno strumento per contrastare il sistema di sfruttamento imperante in agricoltura, grazie all’introduzione della condizionalità sociale.  

L’esperienza maturata dalla FLAI con l’esercizio e la pratica del sindacato di strada ci porta a dire che è necessario istituire un luogo di confronto e valutazione dei dati raccolti, parallelamente ad un sistema di monitoraggio dei flussi della manodopera, ad esempio geo-referenziando le compagini di lavoratori che si spostano da una regione all’altra a seconda delle fasi colturali. 

Inoltre, per incentivare la lotta per i diritti sul lavoro è auspicabile – attraverso la cooperazione transnazionale – incontrare i sindacati dei paesi di provenienza dei lavoratori stranieri, per conoscere le diverse modalità di organizzazione del lavoro e gli inquadramenti contrattuali al fine di disinnescare il fenomeno del dumping salariale. Un tassello importante è rappresentato dalla Legge 199/2016, che ha esteso la fattispecie di reato penale anche all’utilizzatore del caporale, ossia al datore di lavoro, rendendolo ugualmente colpevole. Tuttavia, permangono forti criticità relative all’attuazione degli strumenti preventivi previsti dalla legge, primo fra tutti la promozione della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità, soprattutto per quanto riguarda l’istituzione delle Sezioni Territoriali, che rappresentano gli avamposti concreti per intervenire su alcuni nodi come il trasporto e il collocamento dei lavoratori. 

Ad oggi, le sezioni territoriali insediate sono soltanto una ventina, ancorché non pienamente funzionanti. Occorre quindi rilanciare il confronto in tutte le sedi, dai tavoli istituzionali alle piazze, e velocizzare il processo di costituzione delle Sezioni Territoriali presso l’INPS, perché solo attraverso l’incrocio tra domanda ed offerta di lavoro in un luogo pubblico si può spezzare il meccanismo alla base dello sfruttamento e del caporalato ed avviare un percorso di legalità e trasparenza per questi lavoratori. 

Va anche ricordata la scarsa applicazione, per le vittime di grave sfruttamento lavorativo, del percorso di integrazione sociale tradizionalmente utilizzato per le vittime di sfruttamento sessuale (art. 18, d.lgs. n. 286/1998). In questa ottica, il Protocollo Interministeriale del 14 luglio 2021 (firmato tra i Ministri dell’Interno, del Lavoro, delle Politiche Agricole, insieme al Presidente del consiglio direttivo dell’ANCI, e con l’adesione di alcuni enti di studi facenti capo alle Parti Sociali tra cui l’Osservatorio Placido Rizzotto) sia un ulteriore tassello nell’articolazione di una risposta sistemica contro lo sfruttamento in agricoltura.

Il Protocollo fa il paio con le Linee Guida in materia di identificazione, protezione, assistenza delle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura predisposte nell’ambito del Piano Triennale 2020-2022. Di particolare interesse è la verosimile istituzione di un Meccanismo nazionale di riferimento (cd. Referral) a tutela delle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura, con singolare riguardo alle lavoratrici e ai lavoratori stranieri extraUE sprovvisti del Permesso di Soggiorno. Potranno avvalersi appunto delle statuizioni previste dall’art. 18 del TU sull’immigrazione quale via di fuga dallo stato di bisogno determinato dalla propria precaria condizione giuridica. 

Il tema degli agenti chimici somministrati in agricoltura è di primario interesse in ragione delle conseguenze che possono determinare sulla salute delle lavoratrici e dei lavoratori.
Anche se l’architettura normativa pone in termini cogenti il sistema uso dei Dispositivi di Protezione Individuale- DPI, nella realtà fattuale ampie platee di lavoratori ne sono sprovvisti nell’espletamento delle proprie mansioni. Per gli Invisibili in particolare, i DPI sembrano una chimera. Lo si è visto in costanza di emergenza sanitaria di Covid-19: non solo le lavoratrici e i lavoratori non avevano i classici DPI richiesti dalla normativa, ma non disponevano nemmeno di quelli necessari per tutelarsi dal possibile contagio.
Una situazione che ha determinato la mobilitazione trainata dalla FLAI- CGIL, partendo dalla consapevolezza che nei “ghetti, la cui ubicazione si incardina sempre nei distretti a forte vocazione agricola, il quotidiano degli immigrati è scandito da immutata cadenza nonostante la spada di Damocle rappresentata dal Covid-19”. 

Sul piano generale, la costante esposizione agli agenti chimici, sommata alle precarie condizioni di vita, specie in casupole e catapecchie, comincia a manifestarsi platealmente sugli invisibili. Cominciano infatti ad appurarsi casi di patologie tumorali nelle compagini di lavoratori costretti a vivere nei ghetti e negli insediamenti rurali informali. Per capire la portata del disastro che potrebbe verificarsi, basti prendere a campione e a riferimento un monitoraggio effettuato da Medici Senza Frontiere-MSF in sette insediamenti rurali informali della Basilicata, tra luglio e novembre 2019. Delle 910 visite effettuate, si sono riscontrati 785 casi condizioni mediche legate in particolare alle difficili condizioni di lavoro e di vita. In 1 paziente su 3 sono state riscontrate infiammazioni muscoloscheletriche, mentre 1 su 4 ha manifestato disturbi riconducibili alla situazione insalubre negli insediamenti informali, come problemi gastrointestinali e respiratori, dermatiti e reazioni allergiche. Sono stati inoltre registrati 51 casi di malattie croniche come diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari, respiratorie e nefrologiche per la maggior parte indentificate per la prima volta durante le visite con MSF”.

Gli Screening effettuati sulle condizioni di salute degli invisibili dell’agricoltura concordano sugli effetti esiziali della situazione. Oltre all’incidenza che è destinata ad avere sugli assetti economici generali, non è del tutto inverosimile ipotizzare ulteriori conseguenze traumatiche, ad esempio, sulla salute riproduttiva delle lavoratrici agricole. Estirpare la piaga dello sfruttamento e del caporalato dall’economia del lavoro in agricoltura è essenzialmente una battaglia per la dignità e per i diritti. Riprendo le parole del Gino Strada con le quali la FLAI ha voluto ricordarlo quando è scomparso, “i diritti degli uomini devono essere diritti di tutti gli uomini. Altrimenti chiamateli privilegi.”

Il nostro impegno continua. Con la stessa grinta. 

Jean-René Bilongo
Osservatorio Placido Rizzotto/FLAI-CGIL
[ottobre 2022]

Foto: credits Luca Gambi