L'Afghanistan e noi

Sono passate solo alcune settimane dalle immagini dell’aeroporto di Kabul che hanno commosso il mondo, in particolare quelle che mostravano il tentativo di affidare alcuni bambini ai soldati stranieri al di là della rete che circonda l’aeroporto stesso. Commozione effimera, a giudicare dal silenzio calato sulle vicende afghane in Europa e in particolare in Italia. Ora come ora, non è dato sapere quanti saranno gli afghani in fuga dal paese che arriveranno in Europa, e quando, al di là naturalmente delle poche migliaia trasportate nel continente con i ponti aerei immediatamente successivi alla presa di Kabul da parte delle milizie talebane[1]. 

Una volta superati i primi giorni di smarrimento dovuto alla rapidità degli avvenimenti, la strategia dell’Unione europea è apparsa subito chiara: i Ministri dell’Interno degli Stati membri (non a caso, dato che la questione afghana è vista essenzialmente sotto l’angolatura della possibile minaccia rappresentata dalla crisi alla stabilità interna dei paesi europei) riunitisi tempestivamente in un Consiglio straordinario il 31 agosto, hanno deciso di affidarsi ai paesi limitrofi all’Afghanistan per la gestione e l’accoglienza di una eventuale ondata di profughi[2]. Si noti, a ulteriore conferma del fatto che per l’Unione si tratta in primo luogo di una questione che investe il territorio e i cittadini europei, l’incontro ha visto la partecipazione della Commissaria agli Affari interni Johansson e del Commissario per la Promozione dello stile di vita europeo (sic) Schinas. Dichiarazioni analoghe sono seguite pochi giorni dopo, al G-7 in video-conferenza sull’Afghanistan, da parte del Presidente del Consiglio europeo Charles Michel[3]. 

Le cifre attuali In realtà, la stragrande maggioranza dei profughi (circa l’80%) già ora si ferma nei paesi limitrofi all’Afghanistan, e ciò per vari motivi, che vanno dalla speranza (comune a tutti i profughi), di poter prima o poi rientrare nel loro paese, alla difficoltà di attraversare le frontiere (si pensi soltanto alla costruzione del muro da parte della Turchia ai confini con l’Iran). Secondo dati forniti a settembre dall’UNHCR[4], gli sfollati interni in Afghanistan sono attualmente oltre 3,7 milioni (di cui quasi 635.000 si sono aggiunti nel 2021), e oltre 2,2 milioni si sono riversati nei paesi limitrofi fino al 31 dicembre 2020 (a cui vanno sommati gli oltre 35.000 nel 2021). Inoltre, in Turchia ci sarebbero attualmente 500.000 afghani, di cui 400.000 irregolari. Anche in Europa ci sono attualmente oltre 300.000 cittadini afghani ancora in attesa della definizione della propria posizione. 

Per far fronte al prevedibile arrivo di profughi dall’Afghanistan, il governo italiano ha recentemente aumentato di 3.000 unità i posti disponibili nel Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI). Da notare che i posti in più non sono riservati a cittadini afghani, ma a tutti i migranti che arrivano via terra e via mare in Italia[5]. Il problema è che l’arrivo in Italia (e l’eventuale prosecuzione verso il Nord Europa) presuppone la vittoria al “game”, quel pericoloso gioco d’azzardo con cui i migranti cercano ripetutamente di entrare nella fortezza Europa dai suoi confini sud-orientali. Attualmente, sul confine esterno dell’UE (tra Bosnia e Croazia) ci sarebbero circa 1.500 afghani in attesa del colpo di fortuna[6]. Che purtroppo, il più delle volte si tramuta in un colpo di manganello, come dimostra la recente inchiesta di Lighthouse Reports[7] , che documenta con un video i respingimenti violenti al confine croato-bosniaco, che è poi anche la frontiera esterna dell’Unione. Il sogno dei migranti di raggiungere il territorio dell’Unione europea, infatti, sempre più spesso va ad infrangersi a tre quarti della cd. rotta balcanica, e cioè proprio ai confini nord-occidentali della Bosnia-Erzegovina, nel Cantone Una-Sana, teatro della guerra jugoslava di ormai 30 anni fa. In Bosnia Erzegovina ci sono attualmente 40.000 persone in transito, di cui l metà famiglie e il 30% afghani. Vicino al capoluogo cantonale di Bihac (a circa 240 km dalla frontiera italiana, due settimane di cammino) sorge il famigerato campo profughi di Lipa, di cui si è parlato soprattutto per via del terribile incendio che lo ha devastato l’anno scorso. Un recente rapporto della rete RiVolti ai Balcani ci racconta nel dettaglio[8] non soltanto le condizioni in cui si trovano i migranti “ospitati” nel campo, ma anche la genesi e l’evoluzione di quest’ultimo, di fatto un bastione per dissuadere i richiedenti asilo dall’avvicinarsi alla frontiera dell’Unione, come documentato fra l’altro dall’abisso che esiste fra il numero di manifestazioni di volontà di chiedere asilo in Bosnia (14.432 nel solo 2020) e le domande di asilo effettivamente formalizzate (appena 244). In estrema sintesi (ma si raccomanda di consultare il documento, nonché la ricca biblio- e sitografia che lo accompagna) dal rapporto si evince chiaramente che attorno al campo di Lipa si sta giocando una partita in cui gli unici e sicuri perdenti sono i migranti e i loro diritti. Attualmente, infatti, dopo l’incendio del dicembre 2020, “la costruzione del nuovo Lipa prosegue pieno ritmo (…), un campo di container in mezzo al nulla che ha il solo scopo di confinare le persone senza soluzioni di medio-lungo periodo”. E questo grazie a copiosi finanziamenti dal parte dell’Unione europea. Il nuovo campo potrà contenere al massimo 1.500 persone, mentre nessuna soluzione è stata pensata per gli oltre 3.000 migranti che vivono nei cd. “contesti informali”, privi cioè perfino di quella “tenue” forma di assistenza assicurata dall’essere all’interno di un campo. Le soluzioni di medio-lungo periodo sono appunto ostacolate dalle pratiche della polizia croata, che senza troppi complimenti respinge in Bosnia i migranti che hanno attraversato i suoi confini. Secondo i più recenti rapporti di Border Violence Monitoring Network (BVMN, una rete che monitora i diritti delle persone in transito sulla rotta balcanica), “dal gennaio 2017 all’agosto 2021 almeno 481 respingimenti (il 41% del totale) hanno visto coinvolte persone provenienti dell’Afghanistan, vittime di una violenza ‘spesso assimilabile a tortura’ “[9]. Il viaggio, anche se si riesce ad entrare nel territorio dell’Unione, non finisce certo in Croazia, come è facile immaginare. Qualche volta finisce alla frontiera italo-slovena, dove da diverso tempo vengono ormai praticate le cd. “riammissioni” di migranti in Slovenia da parte delle autorità italiane, sulla base di un accordo bilaterale fra i due Stati risalente al 1996. “Tra gennaio e metà novembre 2020 l’Italia ha riammesso in Slovenia 1.240 migranti e richiedenti asilo”, mentre “nell’estate 2020 il Ministero dell’interno ha riconosciuto che le riammissioni in Slovenia riguardano anche richiedenti asilo”[10]. Nella sua recente visita a Trieste, inoltre, il sottosegretario all’Interno Molteni ha affermato, secondo il quotidiano locale Il Piccolo, che “il sistema delle riammissioni informali deve assolutamente essere riapplicato”[11]. 

Nuovi muri: l’Europa raccoglie l’eredità di Trump? Gli esempi purtroppo potrebbero continuare a lungo, ma è ad ogni modo evidente che l’attuale strategia europea consiste essenzialmente nel tenere lontani i potenziali richiedenti asilo dal proprio territorio, come già notato in precedenza[12].

Ma evidentemente per qualcuno neppure questo basta. La lettera indirizzata da ben 12 Stati membri (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia e Slovacchia, più la “simpatizzante” Slovenia, per ammissione del suo stesso Ministro dell’Interno) alla presidenza del Consiglio europeo il 7 ottobre scorso (vale la pena di sottolineare questa data, potremmo dovercene ricordare in futuro come di uno spartiacque nella storia dell’UE) lascia ben pochi dubbi in proposito[13]. Eppure sono passati solo trent’anni da quando la stessa Europa celebrava piuttosto l’abbattimento dei muri che non la loro costruzione. Difficile dire se sia più sconcertante la lettera dei 12[14], oppure la risposta “ragionieristica”della Commissaria Johansson, che in buona sostanza non trova nulla da eccepire nel fatto che alcuni Stati membri vogliano erigere “barriere fisiche” alle loro frontiere esterne, purché non lo facciano con fondi europei[15]. Se è comunque vero che i firmatari della lettera non si limitano al cd. “Gruppo di Visegrad”, ma sono “molti di più e di diverso orientamento politico”[16], va anche notato, con un pizzico di ottimismo in più, che mancano le firme di Paesi come Germania (che pure aveva sottoscritto la precedente lettera di agosto), Francia, Spagna e Italia, che, oltre a rappresentare più della metà della popolazione dell’Unione (il 57% circa), accolgono anche una buona parte di richiedenti asilo.

 Scherzare col fuoco Appare azzardato tirare conclusioni univoche o definitive da quanto osservato finora, anche perché si tratta di una storia in pieno divenire, e che certo non appare destinata a risolversi in breve tempo. Al centro di tutto (e accettando il rischio di peccare di eurocentrismo) sembra esserci l’Europa e la politica che l’Unione intende perseguire nei confronti dei diritti umani, quei diritti di cui ama definirsi “la culla”. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, si può rilevare che, pur nelle difficili circostanze attuali, gli Stati membri e i loro cittadini non sono affatto compatti (e forse neppure maggioritari) nel considerare chi bussa alle loro porte come un pericolo da tenere lontano invece che come un’opportunità di crescita in tutti i sensi. Come in molte altre circostanze dalla storia recente, le migrazioni umane sono state un comodo paravento (in maniera più o meno conscia) a problemi di ben altra natura e portata, e hanno costituito il facile bersaglio a cui mirare per fare sicura presa su opinioni pubbliche divise e provate dalle disuguaglianze crescenti, ed esasperate dalla pandemia. Prendersela con gli ultimi è un gioco facile, ma alla lunga può rivelarsi molto controproducente, oltre che insostenibile. 

Paolo Attanasio 
[ottobre 2021]

[1] Si tratta di circa 22.000 persone trasferite in 24 Stati membri (cfr. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_21_5088)
[2] https://www.euronews.com/2021/08/31/eu-interior-ministers-to-discuss-potential-afghan-migration-crisis
[3] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2021/08/24/remarks-by-president-charles-michel-following-the-g7-leaders-meeting-on-afghanistan-via-videoconference/?utm_source=newsletter&utm_medium=dsms&utm_campaign=2021-09-PEC-newsletter-EN
[4] UNHCR, Flash External Update: Afghanistan Situation #6 as of 20 September 2021, in https://data2.unhcr.org/en/documents/details/88763
[5] Cfr. Eleonora Camilli, Migranti. il Viminale aumenta di 3.000 i posti del SAI, 12 ottobre 2021, in https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/migranti_il_viminale_aumenta_di_tremila_i_posti_del_sai?UA-11580724-2
[6] Cfr. https://www.today.it/mondo/afgani-campi-profughi-bosnia.html
[7] https://www.lighthousereports.nl/investigation/unmasking-europes-shadow-armies/?utm_source=ufficiostampa&utm_medium=email&utm_campaign=RB810&fbclid=IwAR3jDmjFJegjde1Ku-2eSq6xPeGk0BZmTSbsN4KTx13WPNB65ztCoaP6Txg
[8] RiVolti ai Balcani, Bosnia Erzegovina, la mancata accoglienza, luglio 2021, disponibile su https://altreconomia.it/prodotto/bosnia-ed-erzegovina-la-mancata-accoglienza/
[9] Citato in Luca Rondi, Migliaia di afghani in fuga nei Paesi confinanti. Ma l’ingresso in Italia resta un miraggio, 29 settembre 2021, in https://altreconomia.it/migliaia-di-afghani-fuggono-nei-paesi-confinanti-ma-lingresso-in-italia-resta-un-miraggio/
[10] RiVolti ai Balcani, Dossier Balcani – La rotta balcanica, gennaio 2021, disponibile su https://altreconomia.it/prodotto/la-rotta-balcanica-2021/
[11] Cfr. Lorenzo Degrassi, Migranti, si alle riammissioni informali, in Il Piccolo, 23 settembre 2021, https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2021/09/23/news/migranti-si-alle-riammissioni-informali-1.40734724
[12] Cfr. in proposito, https://www.nuovetracce.org/politica-e-societ%C3%A0/tag/european-union
[13] Al di là dei pur numerosi e vari commenti dei media, conviene rivolgersi alla fonte, e leggere il testo originale della lettera, che già dal titolo (“Adaptation of the EU legal framework to new realities”) sembra voler da una parte mettere le mani avanti, e dall’altra invocare uno “svecchiamento” del quadro legislativo comunitario, evidentemente bisognoso di un’attualizzazione alle “nuove realtà”. Il testo è reperibile su: https://www.politico.eu/wp-content/uploads/2021/10/07/Joint-letter_Adaptation-of-EU-legal-framework-20211007.pdf
[14] Le avvisaglie si erano d’altronde già manifestate con un'altra lettera, quella in cui 6 Stati membri, all’inizio di agosto, avevano giudicato “pericolosa” l’idea di bloccare le espulsioni di afghani dall’Europa, in quanto ciò costituirebbe un fattore di attrazione per gli stessi. Cfr. in proposito, Sabine Siebold, John Chalmers, Six EU countries warn against open door for Afghan asylum seekers, 10 agosto 2021, in https://www.reuters.com/world/six-countries-urge-eu-not-stop-deportations-afghanistan-belgium-says-2021-08-10/
[15] Cfr. Carlo Lania, Muri anti-migranti, 12 Paesi chiedono all’UE di finanziarli, in Il Manifesto, 9 ottobre 2021.
[16] Gianfranco Schiavone, I gendarmi d’Europa vogliono cancellare il diritto di asilo, in Il Riformista, 12 ottobre 2021.