I gesti di distensione sono atti di viltà?

Mi è capitato, all’inizio dell’estate, di leggere una lunga intervista ad uno dei più noti esponenti del mondo pacifista ucraino,Yurii Sheliazenko, leader del Movimento nonviolento a Kiev, e di seguire poi le vicende che lo hanno interessato nei giorni e nei mesi successivi. Sheliazenko, rispondendo alle domande di Mao Valpiana (storico dirigente del Movimento Nonviolento in Italia), dichiarava: «Rischio la vita, ma non mi faccio intimidire dai guerrafondai. Putin e Zelensky restano supremi negazionisti della pace e cercano la vittoria sul campo. Manca l’immaginazione nel costruire ponti, quindi li fanno letteralmente saltare».

Ora, la posizione di Sheliazenko è diventata nel corso del conflitto, uno dei punti di riferimento in Ucraina del movimento pacifista internazionale. La prospettiva pacifista e nonviolenta in Ucraina esiste, ma non gode di particolare diritto di cittadinanza sulla stampa internazionale, e tanto meno su quella del Paese. Yurii è ogni giorno fatto oggetto di persecuzione tramite restrizioni della sua vita personale, e ovviamente conseguenze legali. Eppure, l’affermarsi di tale prospettiva potrebbe essere un’utile via per iniziare a porre fine all’inutile strage che da quelle parti (e in tante altre parti del pianeta, per altro) sta andando avanti senza esclusione di colpi e senza che si intravedano vie d’uscita. 

Yurii denuncia di venire bollato come traditore, racconta che gli vengono rivolte minacce, e che il suo nome viene fatto pubblicamente come quello di un nemico. Ma lui insiste ad esprimersi contro i guerrafondai, contro chi vuole a tutti i costi fare la guerra e coloro che vedono nella vittoria militare di una delle due parti l’unico traguardo possibile. 

Nel Vertice di Vienna per la pace in Ucraina, tenutosi pochi mesi fa, l’esponente pacifista ha severamente criticato quelli che egli chiama i «negazionisti della pace», riferendosi in primis agli stessi Putin e Zelensky, accusando entrambi di cercare esclusivamente la vittoria sul campo di battaglia e di rifiutarsi di prendere in considerazione qualsiasi possibilità di riconciliazione. L’insieme degli accadimenti bellici degli ultimi mesi, a mio avviso, confermano in pieno la sua interpretazione della realtà. 

Ascoltando le parole di Sheliazenko, non posso non pensare alle narrazioni prevalenti che in Italia e nell’insieme dell’Occidente si fanno del conflitto ucraino. Da molte parti si dice che sarebbe immorale smettere di armare l’Ucraina per l’autodifesa, ma io condivido con il pacifista Yurii la convinzione che sia immorale alimentare la guerra con la fornitura di armi. 

Per riprendere alcuni dei tanti paragoni “domestici” che in questi seicento maledetti giorni sono circolati, penso che nessun fuoco si spegne buttandovi sopra della benzina, al di là di chi sia la responsabilità di aver attizzato per primo l’incendio; oppure, se vediamo due nostri vicini di casa massacrarsi di botte, il compito di chiunque assista alla rissa deve essere quello di fare di tutto per dividerli, non certo mettere in mano un coltello, e poi una pistola, e poi un mitra (e così via) a uno dei due, quello che viene visto come più meritevole di assistenza. Poi, sulle responsabilità, le colpe, le soluzioni e anche sugli aspetti sanzionatori, si dovrà discutere a mente fredda, in presenza di arbitri per quanto possibile super partes

Perché certo, la pace non può consistere nella sola assenza di violenza armata. Ma quello di spegnere la violenza armata è il primo passaggio, ineludibile, se a una pace degna di tal nome si vuole poi cercare di arrivare. 

Ecco che allora, in tale ragionamento, sono nello stesso periodo rimasto colpito anche da altri articoli, nei quali si auspica il processo di accelerazione dell’ingresso ucraino nella Comunità Europea. 

Ora, dobbiamo purtroppo prendere atto che l’Europa ha rinunciato, a tutt’oggi, a porsi come elemento di mediazione e di interposizione nel conflitto, per sposare in maniera pressoché unanime e con scarso spirito critico la causa ucraina. Ora, rendere più rapida l’integrazione di questo Paese nella Comunità, sarebbe un elemento di aggravamento della tensione, non certo un gesto di distensione. Di più, dal momento che la volontà del Presidente Zelensky e dei suoi collaboratori è quella di aderire alla NATO, l’ingresso nell’Europa sarebbe probabilmente un passo determinante anche nel senso di tale adesione, che comporterebbe un ulteriore inasprimento delle relazioni internazionali, un significativo aumento della tensione e uno spaventoso aggravamento dei pericoli per la pace mondiale. Se è incontestabile che l’atteggiamento di Putin è improntato a un disegno neoimperiale di stampo zarista, che vede nella guerra e nelle annessioni lo strumento principe, è altrettanto vero che la posizione della dirigenza ucraina, corroborata dall’espansionismo della NATO e l’acquiescenza europea ad esso, è di totale rifiuto verso ogni ipotesi di piano di pace fino ad ora avanzata (e se ne contano ormai diverse). 

La definizione di Paese neutrale che diversi stati, fino a non molto tempo addietro, esibivano come un vanto, oggi sembra diventato sostanzialmente un’onta. E gli sforzi per la riduzione della quantità e del potere distruttivo degli armamenti (che - pur fra mille contraddizioni e indecisioni – venivano portati avanti persino nel tempo della guerra fredda) sono ora visti come atti di viltà e “cedimenti al nemico”. 

Come afferma storicamente il movimento dei nonviolenti e dei resistenti alle guerre, l’unica speranza di uscire dal circolo vizioso è imparare a resistere agli aggressori e ai tiranni senza violenza, senza riprodurre i loro metodi e la loro follia militarista. Come testimonia il leader dei nonviolenti ucraini, “Putin ha aggredito militarmente, ma noi non possiamo agire come se la difesa nonviolenta e la diplomazia non esistessero”. 

Naturalmente, la drammatica escalation in atto tra Russia e Ucraina fa sembrare impossibile pensare ad un cessate il fuoco. Da una parte e dall’altra c’è il massimo sforzo per convincere le proprie popolazioni che si sta combattendo una “guerra giusta”, senza pensare che sia i russi che gli ucraini hanno violato quel fragile accordo di cessare il fuoco in Dombass, firmato dopo che già migliaia di persone erano morte.  E su entrambe le parti incombe la responsabilità di far crescere il rischio della guerra nucleare. 

Come tante altre persone, io credo che la rotta vada profondamente cambiata. In un mondo in cui si sono ricostituiti sventuratamente dei blocchi geostrategici, che qualche decennio orsono avevamo sperato essere in via di estinzione, il disarmo multilaterale e concordato (ma che per iniziare deve prevedere il coraggio da parte dei singoli attori di compiere anche gesti unilaterali di riduzione dei propri armamenti) dovrebbe essere la strada maestra da seguire. 

Mi sia permesso aggiungere un’annotazione, dal punto di vista di chi da una vita si occupa di analizzare i problemi in chiave ecologica e cerca oggi di contribuire alla mobilitazione per la giustizia climatica: voglio sottolineare senza sosta la connessione strettissima e feroce che c’è (e c’è sempre stata) fra la guerra e la contesa per le risorse energetiche. Penso quindi, e con me migliaia di uomini e donne di scienza, di cultura, di fede e di impegno sociale, che la vera e rivoluzionaria scelta che Paesi come il nostro potrebbero e dovrebbero compiere, per contribuire realmente ad un orizzonte di Pace, sia quella di intraprendere una volta per tutte la strada della fuoriuscita dalla schiavitù dalle fonti energetiche fossili. Molto più che dannarsi nell’appartenenza a tutti costi ad uno dei (due o più) blocchi geopolitici in lotta fra loro. 

Al riguardo potrei, in successivi contributi, approfondire questi aspetti, mettendo a disposizione informazioni ulteriori riguardanti il movimento nonviolento, ecologista e pacifista presente, oltre che in Ucraina, anche nella Russia di Putin o nella sua vassalla Bielorussia. 

Quello che dovrebbe però divenire chiaro a chiunque, è che l’orrore della guerra ben difficilmente si eliminerà appellandosi alle accuse su “chi ha cominciato prima”, e sollecitando la vittoria finale di una delle due parti. 

Perché a quel punto, “ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”. 

Pippo Tadolini
[Settembre 2023]

Per il disegno: credits Gianluca Costantini