Un mare di naufragi, l’Africa e altre storie

L’acqua è stata la protagonista degli ultimi mesi: dalla Romagna agli inizi di maggio con le morti, l’alluvione e le distruzioni di case e strade in collina fino al Mediterraneo delle barchine di ferro diventato sempre più un cimitero liquido per i migranti in fuga massiccia da Libia e Tunisia. 

Anche il canale della Manica tra Europa e il cosiddetto Regno Unito ha visto il governo conservatore britannico dare il peggio di sé, prima con le restrizioni alla libertà di movimento e poi con la “chiatta carceraria” galleggiante al largo delle coste inglesi, oggetto di numerose proteste civili. 

Abbiamo visto a settembre gli scontri fra la polizia israeliana e molti Eritrei fuggiti dal loro Paese (18.000 circa in totale) che dovrebbero essere immediatamente deportati nel piccolo Stato africano dal governo di Netanyahu. Gli Eritrei accusano il regime di Asmara di negare le libertà individuali e perseguitare gli oppositori. La diaspora è presente anche in altri Paesi, dalla Norvegia al Canada, anche con violente manifestazioni di dissenso. 

Prima, durante e dopo la strage di Cutro in Calabria il governo italiano ha assistito ad una moltiplicazione degli sbarchi sulle nostre coste.
Se nel 2021 i migranti sbarcati erano 37.262, nel 2022 erano saliti a 52.954, da gennaio a settembre 2023 arriviamo a 133.000. Questa moltitudine di persone proviene da molti Paesi: le prime 10 nazionalità rappresentate sono Guinea, Costa d’Avorio, Tunisia, Egitto, Bangladesh, Pakistan, Burkina Faso, Siria, Camerun e Mali. Il notevole aumento numerico ha decretato l’inutilità evidente dei cosiddetti memorandum firmati con Saied e Tripoli, mentre vanno a rilento in Europa i ricollocamenti.
Non siamo sinceramente in grado di comprendere il cosiddetto “Piano Mattei” per l’Africa, pubblicizzato dalla stampa negli ultimi tempi e poi caduto nell’oblio… 

Notiamo inoltre l’atteggiamento schizofrenico, denunciato anche da Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, da parte del governo italiano nei confronti delle navi umanitarie delle Ong.
Prima si tenta di restringere il campo dei salvataggi (“uno per volta”) e scegliendo porti italiani distanti centinaia di miglia (vedi Livorno e Ravenna, dove siamo al quarto arrivo) poi si chiede la collaborazione delle stesse navi in appoggio alla Guardia Costiera.
Emanuele Nannini è il responsabile della Life Support, arrivata a Ravenna il 25 settembre con 28 persone alla sua dodicesima missione e a 740 miglia nautiche dalla zona Sar Maltese dove è avvenuto il soccorso. Nonostante la nave avesse ancora capacità di ospitare altri migranti, le è stato ordinato di puntare verso il nostro porto romagnolo.
Ora abbiamo in provincia 1.400 richiedenti asilo, con la prefettura che si prepara a nuovi bandi di gara per quanto riguarda i posti letto e l’ospitalità. 

A fine settembre la situazione degli sbarchi nel sud Italia (non c’è solo Lampedusa) è sembrata fuori controllo; il governo italiano ha invocato l’aiuto della Unione Europea, arrivando a ipotizzare l’uso della Marina militare per fermare gli arrivi nel Mediterraneo.
La questione immigrazione, secondo chi scrive e non solo, sta coinvolgendo il continente europeo sempre più, con alcuni politici italiani che scoprono solo ora “l’inverno demografico”, denunciando una spaventosa mancanza di visione e progettualità sociale. Solo il Papa e pochi altri sembrano avere consapevolezza chiara di quello che succederà. Non sarà un “pizzo di stato” di 5.000 euro (ritenuto illegittimo in questi giorni dai magistrati di Catania) per evitare i Cpr, che cambierà le cose… 

A ciò si aggiunge un costante focus di attenzione ristretto agli arrivi via mare dei disperati, deviando in questo modo l’attenzione da altre realtà. 

La Rotta balcanica, ai confini orientali dell’Italia, sta diventando un cimitero terrestre per i migranti provenienti dall’Est Europa, con stime di circa 8.000 persone da gennaio a luglio di quest’anno. La Caritas di Trieste e l’ICS (Consorzio Italiano Solidarietà) hanno chiesto al governo un incontro per tentare di risolvere la situazione, che vede centinaia di persone dormire all’aperto in città in queste settimane. 

Spostiamoci in Africa.
Dal 4 settembre a Nairobi, in Kenia, si è svolto l’African Climate Summit, allo scopo di invertire la desertificazione del Continente, che provoca la fuga di milioni di migranti climatici verso il nord e l’Europa.
Ritorneremo sugli esiti e sulle decisioni prese in questo consesso internazionale (con critiche da parte di Africans Rising che accusa di greenwashing il tutto), anche in previsione della Global Conference on Climate Change, prevista a Roma a metà ottobre e il prossimo COP 28 a dicembre 2023.
Il COP 27 si era svolto in Egitto e aveva visto, tra gli altri, l’intervento angosciato di Antonio Guterres, segretario generale Onu, deluso dai comunicati finali, frutto delle mediazioni a favore della dipendenza dai combustibili fossili, di fronte a un inquinamento africano globale pari a solo il 4%.
Anche l’intervento della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha proposto la tariffazione globale del carbonio, sbloccando così risorse per un green deal africano, può essere letto come “inquiniamo pagando”. Rimanendo in Africa, il golpe in Gabon ha seguito i fatti del Niger (dal 2019 è il settimo colpo di stato nel Continente): ciò che è avvenuto non è ancora chiaro a livello internazionale, ma l’Unione Africana ha sospeso il primo Paese. 

I 54 stati africani, o almeno una parte di essi, sono ancora in una fase di transizione, ma è indubbio che questo Continente non giocherà un ruolo di comprimario nel prossimo futuro da tanti punti di vista, compreso quello demografico alla fine di questo secolo, date le previsioni di aumento esponenziale della popolazione.
Comunque la si voglia vedere, si ha l’impressione che il colonialismo europeo sia arrivato ad un punto di svolta, forse sostituito recentemente da altri attori (Cina, Russia?). 

Una parte di Africa è arrivata anche a Venezia 80, la Mostra Internazionale del Cinema, con il film Io Capitano, di Matteo Garrone, e il giovane Seydou Sarr, premiato come miglior attore esordiente. Secondo noi il film va visto, soprattutto da parte delle giovani generazioni in Europa.
Il Guardian britannico ha dedicato il 25 agosto al regista italiano una lunga intervista, che vi consigliamo di leggere. 

Inoltre Agnieszka Holland con Zielona Granica (Green Border) ha ottenuto il premio speciale della giuria; in una intervista ha definito l’Europa un club chiuso, con i rifugiati che dal confine polacco vengono portati in Bielorussia, un Paese non certo di solide tradizioni democratiche. 

Maurizio Masotti
[settembre 2023]

Per la foto: credits Maurizio Masotti